Archive for the ‘Letteratura’ Category

Ecco la famosa poesia in cui Montale dice che le cose sono nulla… ed ecco Mario Luzi che gli risponde… usando le stesse parole!

Forse un mattino (E. Montale, da Ossi di seppia)

Forse un mattino andando in un’aria di vetro,
arida, rivolgendomi, vedrò compirsi il miracolo:
il nulla alle mie spalle, il vuoto dietro
di me, con un terrore di ubriaco.

Poi come s’uno schermo, s’accamperanno di gitto
Alberi case colli per l’inganno consueto.
Ma sarà troppo tardi; ed io me n’andrò zitto
Tra gli uomini che non si voltano, col mio segreto.


Dove l’ombra procede (M. Luzi, da Un Brindisi)

Dove l’ombra procede e le strade ristanno
tra i fiori, ricordarmi le parole
e le grida dell’uomo è forse un inganno.
Ma sempre sotto il cielo consueto
ritrovo le mie tracce, il mio sole
e gli alberi remoti del tempo
fissi dietro le svolte. E sempre,
ancor che mi sia noto il dolce segreto,
sulla polvere quieta, tra le aiuole,
m’indugio ad aspettare che sporga
un viso inenarrabile dal sole.

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Go and catch a falling star,
Get with child a mandrake root,
Tell me where all past years are,
Or who cleft the devil’s foot,
Teach me to hear mermaids singing,
Or to keep off envy’s stinging,
And find
What wind
Serves to advance an honest mind.

If thou be’st born to strange sights,
Things invisible to see,
Ride ten thousand days and nights,
Till age snow white hairs on thee,
Thou, when thou return’st, wilt tell me,
All strange wonders that befell thee,
And swear,
No where
Lives a woman true and fair.

If thou find’st one, let me know,
Such a pilgrimage were sweet;
Yet do not, I would not go,
Though at next door we might meet,
Though she were true, when you met her,
And last, till you write your letter,
Yet she
Will be
False, ere I come, to two, or three.

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Uomo del grido

Uomo del grido, del morso
agro atroce

 

[…] Il paradiso

Di un’alba azzurra è
divenuto croce.

Le gracili parole non
diranno

Gli urli notturni che
solo hai tremato,

L’aria che ribolliva del
tuo gesto

 

Vano impotente

 

[…] O benedetto
dalla gioia,

Davanti a Dio, davanti
alle creature,

[…]

Tanto stillante il favo
della Grazia

Quanto oscuro è l’abisso
del veleno.

 

[…]

 

 

E tu annaspavi in pianto egro,
illuso

Di potere salvare il tuo
destino

Lucente. Gli occhi
nell’angoscia gelida

Schiacciati in solitaria
ribellione.

 

Non più. Non più. Non
era. Scorso e nudo

Per pianure di ghiaccio trascinato.

“Perché?” risuona. È
l’unica parola

Che dica senso alla tua
infranta voce,

“Perché?” risuona. […]

[…] la sola

Notte ha abbracciato il
tuo piangente grido.

(G. Sabinas)

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Il Primo Gennaio

Il Primo Gennaio
So che si può vivere
non esistendo,
emersi da una quinta, da un fondale,
da un fuori che non c’è se mai nessuno l’ha veduto.
So che si può esistere non vivendo,
con radici strappate da ogni vento
se anche non muove foglia e non un soffio increspa
l’acqua su cui si affaccia il tuo salone.
So che non c’è magia
di filtro e di infusione
che possano spiegare come di te s’azzuffino
dita e capelli, come il tuo riso esploda
nel suo ringraziamento
al minuscolo dio a cui ti affidi, d’ora in ora diverso, e ne diffidi.
So che mai ti sei posta
il come, il dove, il perché,
pigramente indisposta
al disponibile,
distratta rassegnata al non importa,
al non so quando o quanto, assorta in un oscuro
germinale di larve e arborescenze.
So che quello che afferri,
oggetto o mano, penna o portacenere,
brucia e non se n’accorge,
né te n’avvedi tu animale innocente
inconsapevole
di essere un perno o uno sfacelo,
un’ombra e una sostanza, un raggio che ci oscura.
So che si può vivere nel fuochetto di paglia dell’emulazione
senza che dalla tua fronte dispaia il segno timbrato
da chi volle che tu fossi… e se ne pentì.
Ora
uscita sul terrazzo annaffi i fiori, scuoti
lo scheletro dell’albero di Natale,
ti accompagna in sordina il mangianastri,
torni dentro,allo specchio ti dispiaci,
ti getti a terra, con lo straccio scrosti
dal pavimento le orme degli intrusi.
Erano tanti e il più impresentabile di tutti
perché gli altri almeno parlano, io,
a bocca chiusa.
E. Montale (da Satura)

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Era la mia nave…
 

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Gute Nacht (dopo c’è la traduzione)

Fremd bin ich eingezogen,
Fremd zieh' ich wieder aus.
Der Mai war mir gewogen
Mit manchem Blumenstrauß.
Das Mädchen sprach von Liebe,
Die Mutter gar von Eh', -
Nun ist die Welt so trübe,
Der Weg gehüllt in Schnee.
 
Ich kann zu meiner Reisen
Nicht wählen mit der Zeit,
Muß selbst den Weg mir weisen
In dieser Dunkelheit.
Es zieht ein Mondenschatten
Als mein Gefährte mit,
Und auf den weißen Matten
Such' ich des Wildes Tritt.
 
Was soll ich länger weilen,
Daß man mich trieb hinaus?
Laß irre Hunde heulen
Vor ihres Herren Haus;
Die Liebe liebt das Wandern -
Gott hat sie so gemacht -
Von einem zu dem andern.
Fein Liebchen, gute Nacht!
 
Will dich im Traum nicht stören,
Wär schad' um deine Ruh',
Sollst meinen Tritt nicht hören -
Sacht, sacht die Türe zu!
Schreib' im Vorübergehen 
An's Tor dir: Gute Nacht 
Damit du mögest sehen,
An dich hab' ich gedacht.

Buona notte

Straniero sono arrivato,
straniero me ne vado.
Maggio mi aveva ben accolto,
con mazzi di fiori,
la fanciulla parlava d'amore,
la madre già di nozze, -
ora il mondo è così cupo,
la via sepolta dalla neve.
 
Io non posso scegliere
il tempo per il mio viaggio,
devo io stesso trovarmi la strada
in questa oscurità.
Si allunga un'ombra di luna
e mi accompagna,
e suille distese bianche
cerco l'orma degli animali selvatici.
 
Che cosa aspetto ancora,
che mi si cacci via?
Abbaino i cani impazziti
davanti alla casa del loro padrone!
L'amore ama andare in giro
- Dio così lo ha fatto -
dall'uno all'altro,
Cara amata, buona notte!
 
Non voglio disturbare i tuoi sogni,
sarebbe un peccato per il tuo riposo,
non devi sentire il mio passo,
piano piano chiudo la porta!
E scrivo, andandomene via,
sulla porta per te: buona notte,
perché tu possa vedere
che ho pensato a te.

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Si dice che l’attesa sia lunga, noiosa. Ma è anche, in realtà, breve, poiché inghiotte quantità di tempo senza che vengano vissute le ore che passano e senza utilizzarle.

Thomas Mann

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CORO
 
Ahi lacrime, ahi dolore:
passa la vita e si dilegua e fugge,
come giel che si strugge.
Ogni altezza s’inchina, e sparge a terra
ogni fermo sostegno,
ogni possente regno
in pace cadde al fin, se crebbe in guerra.
E come raggio il verno, imbruna e more
gloria d’altrui splendore;
e come alpestro e rapido torrente,
come acceso baleno
in notturno sereno,
come aura, o fumo, o come stral, repente
volan le nostre fame, ed ogni onore
sembra languido fiore.
Che più si spera o che s’attende omai?
Dopo trionfo e palma,
sol qui restano a l’alma
lutto e lamento e lagrimosi lai.
Che più giova amicizia, o giova amore?
Ahi lagrime, ahi dolore!

IL FINE

da T. Tasso, Re Torrismondo, Tragedia, Atto V scena ultima

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Ahimé…

Est nulla requies, nulla est, nulla pax,
nulla est felicitas, nulla est voluptas,
quae vere palceant desunt omnia, desunt,
nubesque quoque in hoc mecum flent
quia, nisi inanissima,
quae possibilia hominibus non dantur.
 
(dalla mia Tragedia, Adynamia)
 
 
traduzione
Non v’è nessun riposo, non v’è nessuna, nessuna pace,
non v’è nessuna felicità, non v’è nessun piacere,
e ciò che veramente appaghi viene tutto a mancare, a mancare,
e pur le nubi piangono con me,
poiché, se non per ciò che è meno importante,
il possibile agli uomini non è concesso!
 

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MANFRED II – Byron

 
Riporto altri passi del Manfred di Byron, che lessi tempo fa. In questo momento, benché ampollosi, li trovo consoni…
 
La mia solitudine non è più solitudine,
E’ popolata dalle furie; – i denti
Io ho digrignato nell’oscurità fino al ritorno del mattino,
Poi, fino al tramonto, mi sono maledetto; – ho implorato
La pazzia come una benedizione… ma mi è negata.
[…]
… oblio
Cercai in tutti, tranne dove si può trovarlo,
E questo ho da imparare; la mia scienza,
La mia arte sovrumana a lungo perseguita
Qui è mortale: io dimoro nella mia disperazione –
E vivo – vivo per sempre
[…]
Noi siamo i giullari del tempo e del terrore: i Giorni
Si impossessano di noi e ci derubano; malgrado ciò viviamo,
Detestando la vita, e ancora temendo di morire.
In tutti i giorni di questo odiato giogo –
Questo peso vitale sopra il cuore in lotta,
Che affonda nel dolore, o batte rappido per una gioia
O una pena che sempre nel languore o in agonia si chiudono –
In tutti i giorni del passato e del futuro, perché
Non c’è presente in vita, noi possiamo contare
Quanto pochi – quanto meno che pochi – siano i giorni in cui l’anima
Rinuncia a spasimare per la morte; tuttavia essa si ritrae
Come da un fiume in inverno, anche se il gelo
Non dura che un attimo. […]
 
(Manfred, Atto II, scena II)
 

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