Omosessualità: la dottrina cattolica
Questo vizio non va affatto considerato come un vizio ordinario, perché supera per gravità tutti gli altri vizi.
Molti amici, anche vicini alle mie posizioni, si stupiscono perché io sia così feroce politicamente. Perché io sia così profondamente scandalizzato, irritato dalla sinistra, italiana in particolare. Perché per me appartenere alla sinistra e soprattutto, peggio che mai, aver votato PCI, o non condannare tutta, integralmente l’esperienza del PCI, sia qualche cosa di indecente. Peggio, molto peggio che essere simpatizzanti del fascismo, quasi peggio che simpatizzare col nazismo.
E’ vero, nonostante la storia di parte della mia famiglia, nonostante il mio carissimo nonno, vecchio socialista fino al midollo, io ritengo letteralmente de-lin-quen-zi-a-le aver sostenuto e votato il PCI ieri e non condannare, oggi, in toto, in blocco, il PCI, “senza se e senza ma”, come dicono gli attuali compagni. Di conseguenza gli attuali membri della sinistra, anche quando per evidenti motivi anagrafici non possono essere accusati di aver sostenuto il PCI, in stragrande maggioranza parimenti guardano a quell’associazione a delinquere che fu il PCI con un occhio benevolo, quando non simpatizzante “fu una grande stagione”, “portò avanti battaglie giuste”, “fu un punto di riferimento istituzionale”, “fu il partito della moralità”, ecc.
C’è un momento in cui concepii il giudizio durissimo che do, il quale poi è maturato e si è consolidato, grazie alle letture e agli studi, con gli anni. Avevo da poco compiuto undici anni. Mia madre per Natale aveva regalato a mio padre un libro di Indro Montanelli, “Dentro la storia” della Rizzoli, con la cronaca della rivolta d’ungheria del 1956. Mio padre si mise prima a sfogliare il libro, poi a leggerlo attentamente. Molte delle pagine riportate le aveva già lette in passato qua e là. A un certo punto lo vidi alzarsi in piedi e avvicinarsi a mia madre; indicava una delle ultime pagine del libro. Disse “Senti”, e lesse:
Solo mercoledì sera si ebbe la sensazione che stava per finire. E ci si ritrovò tutti nell’ufficio del ministro, davanti alla radio. Captammo Roma. Trasmettevano il discorso del ministro Martino. Un bel discorso. Ma, a chiusura, udimmo il grido lanciato in aula dai deputati comunisti: «Viva l’Armata rossa!». A pochi passi da noi, l’Armata rossa stava mitragliando nelle cantine gli operai e gli studenti di Budapest, rimasti senza munizioni.
L’asciuttezza della prosa di Montanelli mi dipinse la scena come un fulmine che rischiara le forme. Due lampi mi passarono in testa, letteralmente, due lampi. Il primo che illuminava l’emiciclo del Parlamento, coi comunisti che si alzavano in piedi a gridare. Il secondo in cui studenti e operai rintantati in buie cantine venivano rischiarati dai flash delle mitragliatrici che li crivellavano, mentre, mi figuravo, il rumore degli spari si sovrapponeva all’invocazione dei deputati del PCI.
Ecco la autoproclamata “moralità” del PCI. Da quel giorno capii che il PCI era un partito di delinquenti. Capii che chi sosteneva o aveva sostenuto il PCI era connivente con delinquenti e assassini. Capii che chi aveva guardato o guardava al PCI senza la più profonda riprovazione era indulgente e simpatizzante con delinquenti e assassini.
Tra quei deputati del PCI della Seconda Legislatura della Repubblica c’era anche Giorgio Napolitano.
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